cuore quando l'anima incontra la tua, parlandoti negli occhi attraverso le folate di vento della passione che ci accarezza dolcemente.
Quello che in noi è incendio e sangue ciò che il cuore ci inventa
incorpora la nostra galassia di sogni
li vediamo passare
sono gonfie nubi sul mare
ci rovesciano dentro l'esaltazione
acuiscono la nostra fame insaziata
di questo spazio violato
non restarne turbata o ferita
da dolci torture
la carne è amabilmente scolpita.
Ragazza Ignota in Reparto Maternità
Bimbo, la corrente del respiro ha sei giorni.
Piccola nocca t'accoccoli sul letto bianco,
piccolo e forte, come una chiocciola rattratto
ti rannicchi al seno.
Le labbra sono animali, sei nutrito con amore.
All'inizio la fame non è errore.
Tentennano le cuffiette le infermiere,
su ceste a rotelle sei pascolato
con la nidiata dei senza nido,
lungo corridoi inamidati.
La tua testa al mio tocco s'inclina,
vacilla piano come una tazzina.
Senti l'appartenenza.
Ma questo è un letto istituzionale.
Non farai per molto la mia conoscenza.
I dottori sono smaltati.
Vogliono sapere i fatti.
Si chiedono dell'uomo che mi ha lasciato,
un'anima pendolo che viene e che va
e come sempre ti lascia piena di bambino.
Ma la nostra cartella clinica rimane vuota.
Ti ho lasciato crescere, non ho fatto altro.
Ora siamo qui, guardati da tutto il reparto.
Hanno pensato che fossi strana
Anche se non ho detto una parola.
Sono esplosa e svuotandomi di te
ti ho lasciato imparare cos'è l'aria.
I dottori fanno grafici d'indovinelli.
Volgo la testa altrove. Io non lo so.
È tua la sola faccia che riconosco.
Ossa da ossa mi bevi le risposte.
Sei volte al giorno soddisfo il tuo bisogno,
le tue labbra animali,
il tepore della pelle che si fa paffuta.
Vedo schiudersi le tendine degli occhi.
Sono pietre blu, il muschio va sparendo.
Sbatti le palpebre stupito,
e mi chiedo cosa vedi
strano parente che turbi il mio silenzio.
Sono un riparo di menzogne.
Dovrei di nuovo imparare a parlare,
o senza speranza di salute mentale
potrò toccare un viso che riconosco?
Nel corridoio ritornano le ceste.
Le mie braccia ti calzano a pennello,
avvolgono le lanose infiorescenze
dei tuoi salici piangenti,
l'arnia ronzante d'api dei tuoi nervi,
i muscoli e le grinze dei primi giorni.
La tua faccia da vecchino
disarma le infermiere.
I dottori mi rimproverano ancora.
Parlo allora. È a te che il mio silenzio nuoce.
Dovevo saperlo. Devo far scrivere qualcosa.
La voce s'allarma nella gola:
"Nome del padre: nessuno".
Ti tengo fra le braccia e ti nomino bastardo.
E anche questa è fatta. Non ho più
niente da dire, niente da perdere.
Altre hanno già trafficato vita
e non potevano parlare.
Mi rattrappisco per evitare
i tuoi occhi gufigni, mio fragile ospite.
Sfioro le tue guance come fiori. Al contatto
illividisci. Ci disconosciamo. Sono
l'insenatura che t'accoglie, lo scoglio
contro cui ti frangi. Ti stacchi. Scelgo
l'unica via per te, piccolo erede,
e ti do via, squassando i noi stessi che perdiamo.
Và bimbo che non sei nulla più d'un mio peccato.
Anne Sexton
Solitudine
Solo e sofferente
come penetra lentamente
il gelo nel mio cuore
vibrato dal tremore
per la fine di una stagione
per un finito grande amore.
Prepotente si fa strada
l'interiore freddo come una spada
il pensiero è immobilizzante
da inondare la mia mente
e il sereno cede il posto
alla paura subentrante
che subito abilmente
nel sostituirsi riesce presto.
Animo reagente
o forzato ipocritamente
celato d'insincero mio sorriso
o un parlare volutamente più deciso
quindi allegro a tratti
verso pochi e casuali miei contatti.
E se ancora mia vita ha
salute e libertà
con tutta forza e protezione
ma anche altro lei mi da
una nuova immobile stagione
senza più il mio grande amore.
Ed è per questo
che tutto quello non può bastare
se dentro l'anima scende presto
di ghiaccio una fuliggine
di solitudine gelo e pioggia
fino a un solco a creare
forse una voragine
che mai si può sanare.
Se dentro l'anima un uomo
di solitudine ha una vuoto
che mai si può colmare.
Se dentro l'anima senza amore
di solitudine è un dolore
che mai si può lenire.
Se dentro l'anima vi è un male
di solitudine che sale
e che mai si può guarire.
Se non in un solo modo
che io credo profondamente
è il più semplice e naturale
quello di aver per sempre
un amore che ti vuol bene
che ti vuole veramente
e nel modo più naturale
nient'altro che starti vicino
ma ogni giorno
in frantumi frana il sogno
al risveglio del suo mattino
quel sogno che ogni notte fa ritorno
quando con me
si voleva addormentare
quando con me
si voleva risvegliare
quando con me
voleva rimanere
quando vicino a me
semplicemente voleva stare.
Davide Petrinca
Quello che in noi è incendio e sangue ciò che il cuore ci inventa
incorpora la nostra galassia di sogni
li vediamo passare
sono gonfie nubi sul mare
ci rovesciano dentro l'esaltazione
acuiscono la nostra fame insaziata
di questo spazio violato
non restarne turbata o ferita
da dolci torture
la carne è amabilmente scolpita.
Ragazza Ignota in Reparto Maternità
Bimbo, la corrente del respiro ha sei giorni.
Piccola nocca t'accoccoli sul letto bianco,
piccolo e forte, come una chiocciola rattratto
ti rannicchi al seno.
Le labbra sono animali, sei nutrito con amore.
All'inizio la fame non è errore.
Tentennano le cuffiette le infermiere,
su ceste a rotelle sei pascolato
con la nidiata dei senza nido,
lungo corridoi inamidati.
La tua testa al mio tocco s'inclina,
vacilla piano come una tazzina.
Senti l'appartenenza.
Ma questo è un letto istituzionale.
Non farai per molto la mia conoscenza.
I dottori sono smaltati.
Vogliono sapere i fatti.
Si chiedono dell'uomo che mi ha lasciato,
un'anima pendolo che viene e che va
e come sempre ti lascia piena di bambino.
Ma la nostra cartella clinica rimane vuota.
Ti ho lasciato crescere, non ho fatto altro.
Ora siamo qui, guardati da tutto il reparto.
Hanno pensato che fossi strana
Anche se non ho detto una parola.
Sono esplosa e svuotandomi di te
ti ho lasciato imparare cos'è l'aria.
I dottori fanno grafici d'indovinelli.
Volgo la testa altrove. Io non lo so.
È tua la sola faccia che riconosco.
Ossa da ossa mi bevi le risposte.
Sei volte al giorno soddisfo il tuo bisogno,
le tue labbra animali,
il tepore della pelle che si fa paffuta.
Vedo schiudersi le tendine degli occhi.
Sono pietre blu, il muschio va sparendo.
Sbatti le palpebre stupito,
e mi chiedo cosa vedi
strano parente che turbi il mio silenzio.
Sono un riparo di menzogne.
Dovrei di nuovo imparare a parlare,
o senza speranza di salute mentale
potrò toccare un viso che riconosco?
Nel corridoio ritornano le ceste.
Le mie braccia ti calzano a pennello,
avvolgono le lanose infiorescenze
dei tuoi salici piangenti,
l'arnia ronzante d'api dei tuoi nervi,
i muscoli e le grinze dei primi giorni.
La tua faccia da vecchino
disarma le infermiere.
I dottori mi rimproverano ancora.
Parlo allora. È a te che il mio silenzio nuoce.
Dovevo saperlo. Devo far scrivere qualcosa.
La voce s'allarma nella gola:
"Nome del padre: nessuno".
Ti tengo fra le braccia e ti nomino bastardo.
E anche questa è fatta. Non ho più
niente da dire, niente da perdere.
Altre hanno già trafficato vita
e non potevano parlare.
Mi rattrappisco per evitare
i tuoi occhi gufigni, mio fragile ospite.
Sfioro le tue guance come fiori. Al contatto
illividisci. Ci disconosciamo. Sono
l'insenatura che t'accoglie, lo scoglio
contro cui ti frangi. Ti stacchi. Scelgo
l'unica via per te, piccolo erede,
e ti do via, squassando i noi stessi che perdiamo.
Và bimbo che non sei nulla più d'un mio peccato.
Anne Sexton
Solitudine
Solo e sofferente
come penetra lentamente
il gelo nel mio cuore
vibrato dal tremore
per la fine di una stagione
per un finito grande amore.
Prepotente si fa strada
l'interiore freddo come una spada
il pensiero è immobilizzante
da inondare la mia mente
e il sereno cede il posto
alla paura subentrante
che subito abilmente
nel sostituirsi riesce presto.
Animo reagente
o forzato ipocritamente
celato d'insincero mio sorriso
o un parlare volutamente più deciso
quindi allegro a tratti
verso pochi e casuali miei contatti.
E se ancora mia vita ha
salute e libertà
con tutta forza e protezione
ma anche altro lei mi da
una nuova immobile stagione
senza più il mio grande amore.
Ed è per questo
che tutto quello non può bastare
se dentro l'anima scende presto
di ghiaccio una fuliggine
di solitudine gelo e pioggia
fino a un solco a creare
forse una voragine
che mai si può sanare.
Se dentro l'anima un uomo
di solitudine ha una vuoto
che mai si può colmare.
Se dentro l'anima senza amore
di solitudine è un dolore
che mai si può lenire.
Se dentro l'anima vi è un male
di solitudine che sale
e che mai si può guarire.
Se non in un solo modo
che io credo profondamente
è il più semplice e naturale
quello di aver per sempre
un amore che ti vuol bene
che ti vuole veramente
e nel modo più naturale
nient'altro che starti vicino
ma ogni giorno
in frantumi frana il sogno
al risveglio del suo mattino
quel sogno che ogni notte fa ritorno
quando con me
si voleva addormentare
quando con me
si voleva risvegliare
quando con me
voleva rimanere
quando vicino a me
semplicemente voleva stare.
Davide Petrinca