a dirci che avremmo dovuto capirle prima tante cose, smettere di credere, di dare e andarcene per tempo. Ne ho fatti anch'io di errori così e non pochi, e anch'io alla fine ho rimproverato me stessa fino a darmi della stupida. Però poi ho capito anche una cosa: molto spesso quando restiamo in balia dei venti, tirati in ballo a momenti alterni, costretti su un'altalena emotiva vivente, probabilmente è perché dall'altra parte non c'è chiarezza a sufficienza che ci faccia capire che è arrivato il momento di levarci dalle balle. Ricordate che i "se" i "ma" e gli "aspettami" sono già un chiaro messaggio che è arrivato il momento di salutarci. Soprattutto quando tutti questi problemi questa persone li ha solo con noi, ma con il resto del mondo si diverte alla grande.
Poesia è il silenzio che mi avvolge.
Ho vissuto nel ruolo del facente disfunzioni.
Oggi si parla molto dell'amicizia che l'amore si sente geloso perché non c'è nulla che si riferisca a lui.
Sei nell'aria, che mi accompagna in questo nuovo viaggio.
Camminiamo nell'oscurità incespiscando sulle nostre paure.
Per alcune persone sei solo un numero, per altre sei un cuore che batte.
Non voglio un corpo da stringere, voglio il canto della tua anima per me.
I tuoi occhi sono troppo sinceri, quando mi guardi dentro ci vedo la tua anima.
Lei domanda se i suoi versi siano buoni. Lo domanda a me. Prima lo ha domandato ad altri. Li invia alle riviste. Li confronta con altre poesie, e si allarma se certe redazioni rifiutano le sue prove. Ora, poiché mi ha autorizzato a consigliarla, le chiedo di rinunciare a tutto questo. Lei guarda all’esterno, ed è appunto questo che ora non dovrebbe fare. Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v’è che un mezzo. Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore, confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice «io devo» questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità. La sua vita, fin dentro la sua ora più indifferente e misera, deve farsi insegna e testimone di questa urgenza. Allora si avvicini alla natura. Allora cerchi, come un primo uomo, di dire ciò che vede e vive e ama e perde.
(da “Lettera a Franz Xaver Kappus del 17 febbraio 1903”)
Rainer Maria Rilke
Poesia è il silenzio che mi avvolge.
Ho vissuto nel ruolo del facente disfunzioni.
Oggi si parla molto dell'amicizia che l'amore si sente geloso perché non c'è nulla che si riferisca a lui.
Sei nell'aria, che mi accompagna in questo nuovo viaggio.
Camminiamo nell'oscurità incespiscando sulle nostre paure.
Per alcune persone sei solo un numero, per altre sei un cuore che batte.
Non voglio un corpo da stringere, voglio il canto della tua anima per me.
I tuoi occhi sono troppo sinceri, quando mi guardi dentro ci vedo la tua anima.
Lei domanda se i suoi versi siano buoni. Lo domanda a me. Prima lo ha domandato ad altri. Li invia alle riviste. Li confronta con altre poesie, e si allarma se certe redazioni rifiutano le sue prove. Ora, poiché mi ha autorizzato a consigliarla, le chiedo di rinunciare a tutto questo. Lei guarda all’esterno, ed è appunto questo che ora non dovrebbe fare. Nessuno può darle consiglio o aiuto, nessuno. Non v’è che un mezzo. Guardi dentro di sé. Si interroghi sul motivo che le intima di scrivere; verifichi se esso protenda le radici nel punto più profondo del suo cuore, confessi a se stesso: morirebbe, se le fosse negato di scrivere? Frughi dentro di sé alla ricerca di una profonda risposta. E se sarà di assenso, se lei potrà affrontare con un forte e semplice «io devo» questa grave domanda, allora costruisca la sua vita secondo questa necessità. La sua vita, fin dentro la sua ora più indifferente e misera, deve farsi insegna e testimone di questa urgenza. Allora si avvicini alla natura. Allora cerchi, come un primo uomo, di dire ciò che vede e vive e ama e perde.
(da “Lettera a Franz Xaver Kappus del 17 febbraio 1903”)
Rainer Maria Rilke